ETNA
Possiamo affermare che dopo cinque tappe di piatto o quasi piatto, tenute in piedi solo dalla capacità narrativa dei nostri inviati, finalmente arriviamo alla prima grande salita? Sì, senza timore di smentita. In alto, fino ad ora si è arrivati solo in aeroplano, trasvolando dalla puszta alla Conca d’Oro. Adesso è il momento delle gambe. Si scala l’Etna, il più alto vulcano attivo “della placca euroasiatica”, tanto per metterla giù alla Piero Angela. E per la prima volta al Giro, non dal versante sud, dalla parte di Catania, bensì da nord, da Linguaglossa là dove i pini e le betulle – mai giunte così in basso in Europa – prendono il posto delle odorose ginestre. Si scala la Strada Mareneve, lo sbiadito slogan di tanti tentativi di valorizzazione turistico-speculativa della Muntagna, pronta a ripagare con fuoco e fiamme ogni insulso tentativo di addomesticarla.
La salita all’Etna che i naturalisti effettuavano un tempo a piedi o a dorso di mulo col timore di restare intrappolati dentro improvvise colate laviche oggi si copre in auto fino ad alta quota. In bicicletta rappresenta la più ardita impresa che si possa trovare in Sicilia per lunghezza, dislivello e pendenza. Non a caso il Giro qui ci è tornato più volte: nel 1967 con Bitossi, nel 1989 con il portoghese Da Silva, nel 2011 con Alberto Contador, nel 2017 con lo sloveno Polanc, nel 2018 con Esteban Chaves.
Il percorso inedito comincia da Linguaglossa, paese salvo da un’improvvisa colata di lava grazie all’intercessione di S. Egidio abate. I basoli di pietra lavica di cui sono pavimentate le strade lo assegnano decisamente al vulcano. Ci si avvia da piazza Castrogiovanni, si supera la ferrovia Circumetnea, e si imbocca la Strada Mareneve, dritta come un fuso verso la ciminiera naturale. Nei primi due chilometri si prende confidenza con la salita: 4-5% di pendenza, fra ulivi e vigne in abbondanza. Poi compaiono le ginestre: il paesaggio si tinge di giallo, in contrasto con i cumuli di lava nerastra. La pendenza si ravviva. All’incontro con la Trazzera Quota Mille (km 3.4) si arriva al 6,5-7%. Strada larga, ben disegnata, ma per ora senza ombra. Questo versante dell’Etna è fresco e ventilato. Ascesa adatta ai passisti scalatori poiché per circa 10 km la pendenza si manterrà costante intorno al 7%. I larghi tornanti aiutano a mantenere il ritmo. Si regge un buon rapporto: un 34 per 24-26 ci sta tutto e bene. Dopo i mille metri d’altezza pini e cipressi si allineano ai bordi della carreggiata. Si sale a serpentine nella foresta: una diramazione a sinistra segnala lo Zappinazzu, il “più grande pino dell’Etna”. Al km 14 la pendenza scema al 4%, ma è il preludio alla rampa finale che inizia dopo aver abbandonato la Strada Mareneve al bivio di Piano Provenzana. Gli ultimi 3 km alzano la pendenza al 9.1% con punte all 11%: un’altra storia. La bocca del vulcano è vicina e minacciosa, la foresta protegge. I campi di lava si vedranno sotto lo striscione d’arrivo, a 1775 metri di quota.