VALICO DI MONTESCURO
È la salita di quelli che faticavano, non in bici, ma a piedi o accompagnati da un mulo. Quelli che scendevano, ai primi freddi, dalla Sila per tornare ai villaggi del versante del Crati, quelli che spaccavano la legna e la trascinavano giù per il pendio, quelli che salivano in estate e tornavano con le pecore in autunno.
La strada, un tempo statale 107 ‘Silana-Crotonese’, poi declassata a provinciale, è il principale accesso alla Sila Grande, dal versante di Cosenza. Ma la salita che i ciclisti affrontano nella settima tappa si sviluppa solo nell’ultima parte sul tracciato della vecchia statale, infatti fino a Spezzano si segue un’altra strada provinciale che risale il versante sinistro della valle del Torrente Caricchio, più densamente abitato. Sono infatti numerosi gli insediamenti che si appoggiano alla fiancata occidentale della Sila, in una posizione intermedia per sfruttare in basso le risorse agricole dei campi e dei castagneti, in alto i pascoli e le foreste d’alto fusto.
Ben 23.6 km portano dai 273 m del fondovalle Crati ai 1618 del Valico di Montescuro, accesso alla Sila Grande. Si prende avvio lungo la SP 217 all’uscita dal territorio comunale di Cosenza (a 3 km dal centro storico), dov’è il ponte sul Torrente Caricchio. Alle case di Morelli la strada prosegue come SP 225 al 5-6%. Strada ampia, poco ombreggiata. Pendenze poco più accentuate non pregiudicano la pedalata che si affronterà certamente ad alto ritmo. Aggirando Magli si vedono la valle del Crati e i contrafforti che sostengono l’altopiano della Sila, verdeggianti di campagne. Lungo un crinale che separa due valli, si sgranano gli abitati di Scalzati, Trenta, Casole Bruzio. Dopo la diramazione per Pedace si continua sulla SP 225 (direzione Sila): con un passaggio a livello si attraversa la dismessa ferrovia Cosenza-S.Giovanni in Fiore. Si raggiungono le borgate di Spezzano della Sila (alt. 815) dove il tracciato, ora SP 256, con un tornante (dir. Montescuro) si pone parallelo alla ‘nuova’ statale 107 che però non viene toccata dalla corsa. La pendenza si accentua: 7-8%. Asfalto ottimo, appena rifatto. Si abbandonano gli abitati. Si entra nel vallone di Fiumicello, rivestito di castagni. Dov’è un doppio tornante si toccano punte al 10%, ma sono pochi assaggi perché si torna in fretta su valori che consentono il grande plateau. Il bosco – pini loricati e faggi – ora è fitto e continuo, il traffico inesistente. Ai traversoni in costa si interpongono brevi tornanti.
Il valico di Montescuro, a 1618 metri, è una radura vicina al centro radio verso cui si dirige la strada per il Monte Botte Donato (a 13 km), altra meta facile e gratificante per avere una visione a 360 gradi della Sila Grande. L’arrivo invece è in fondo alla discesa.
Montescuro ha un passato illustre nella storia del Giro, nonostante le apparenze domestiche. 1972: a Mosca Breznev e Nixon si scambiano amichevoli confidenze dopo la firma del trattato antinucleare. Il mondo è in pace, il Giro no. La corsa ha come motivo dominante il duello fra il belga e il forte scalatore Manuel Fuente. Lo spagnolo ha già vinto sulla prima salita, il Blockhaus, la stessa salita che vide Eddy Merckx imporsi per la prima volta al pubblico italiano nel 1967 e al belga questo non piace. La settima tappa – Cosenza-Catanzaro di 151 km – propone tre salite fra cui Montescuro. Si attende un nuovo exploit iberico ma di solito da quelle parti si attende fino «a las cinco de la tarde». Il “cannibale“ non è dell’idea e appena alzata la bandierina del via si alza sui pedali. Chi gli resiste viene impallinato strada facendo. Negli ultimi metri del Montescuro il torero Merckx trafigge Fuente con una prima banderilla, la seconda se la procura lo stesso stordito spagnolo quando sbanda due volte in discesa. Merckx resta con il solo Gösta Petterson, a cui Eddy concederà il lusso della vittoria ma non quello della maglia rosa che il campione belga conserverà fino a Milano. A Fuente la consolazione del primato nella classifica del Gran Premio della Montagna.