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12a tappa: Cesenatico-Cesenatico

«Una volta non era così»

Cesenatico, giovedì 21 maggio 2020
dal nostro inviato Filip J Cauz
illustrazione di Francesco Chiacchio


«Una volta non era così». Loris pronuncia la frase senza voltarsi. Appoggia le parole di colpo sul bancone, rompendo il silenzio, fin allora imperturbabile, di una partita di Maraffone. Il Bar Piazza si è di colpo affollato di figure bagnate e bestemmianti: ragazzi della carovana, lavoratori del Giro, giornalisti, autisti… tutti uniti dalla fuga, via dalla corsa. Troppa pioggia, improvvisa. 

«Un’era acsé una vòlta», dice Loris, un dedalo di capillari sul naso e due occhi azzurri tremolanti che contano i tanti giorni del calendario visti volare via dallo stesso tavolo, con gli stessi compagni di gioco, lo stesso mazzo di carte romagnole. Per comprendere i cambiamenti climatici servono anche i banconi dei bar di provincia e i loro database di sguardi. 

«Una volta – spiega Loris, rassegnato a malincuore a perdere anche questa partita – non veniva mica giù tutta st’acqua. In estate c’erano i temporali, ma a primavera ‘sta roba lì non si era mai vista. Adéss sì, ma adéss uns capéss piò gnìnt».

Non si capisce niente nel borbottio del Bar Piazza, non ci capisce granché nemmeno il gruppo, che per quanto abbia i suoi meteorologi continua a sperare che le cose vadano come «una volta». Come stamattina, quando il mare di Cesenatico era una distesa piatta che specchiava un cielo azzurro sporco e un sole indeciso. Decisione che non manca affatto ai cacciatori di fughe, ai rimescolatori di mazzo: e chissà quale carta verrà fuori. 

Sono in 9 all’imbocco della Ciola. A guidarli Neilandts e Hänninen, tarantolati; quindi Tratnik, Zaccanti, Maté, Mäder, Frapporti, Conti e Arndt. Parrebbe una giocata ordinaria, se non fosse che scendendo verso Mercato Saraceno il cielo cambia di tonalità: prima plumbeo, poi purpureo. Tempo di accorgersi delle prime gocce che è già diluvio. Il babau della salita di Barbotto si trasforma in mostro: nei tratti al 18% i ciclisti sembrano salmoni che risalgono un torrente di montagna. 

E davanti a tutto, davanti al gruppo, davanti alla fuga, impazza la frenesia dei suiveur in cerca di rifugio: una tettoia, un balcone, un bar. Nonostante il fastidio del chiasso improvviso, al tavolo del Bar Piazza si continua a giocare. Ignorano, come quasi tutti i presenti, che anche sulla strada si sta svolgendo una strana partita a carte. Nascosti sotto mantelline tutte uguali, gli occhiali appannati, i corridori cercano di comprendere cosa stia accadendo. Al passaggio davanti al bar la corsa è ormai come un mazzo di carte sparpagliato da mani troppo nervose. Davanti sono in 23, che a Perticara si sommeranno ai 9 attaccanti diventando poco meno di un quinto di tutti partecipanti: più che una fuga, un sottogruppo. Mancano poche squadre alla fuga, tra cui la Trek di Nibali, verso cui convergono gli sguardi di ciò che resta del peloton.

Dicono che il Marafon, un incrocio tra il Tresette e la Briscola, sia il gioco nazionale della Romagna, di certo è l’unico ammesso nel bar di Sogliano al Rubicone, dove si comincia a metà mattina e si prosegue sino a chiusura, incuranti della corsa e della pioggia. Col trascorrere delle ore e dei bicchieri le partite possono diventare tesissime, tanto che nel silenzio spettrale risuonano solo tre parole: böss, strèss, vòl. Ma in questo pomeriggio di maggio il Giro ha cambiato tutto: il Bar Piazza è una ridda di voci e grida, il gruppo è ammutolito. Fuggitivi e attaccanti cercano di mostrare le carte agli alleati e di nasconderle ai rivali. Nessuno ha voglia di stare all’aria quando è zuppa d’acqua e fa un freddo autunnale. Nessuno nel gruppo, perché in fuga invece sono tutti d’accordo. «Una volta non era così»; una volta gli sceriffi avrebbero imposto la loro legge e tutto si sarebbe ricompattato senza drammi. Ma oggi anche gli sceriffi hanno le polveri bagnate, il Giro è ancora lungo e tutti aspettano che sia la maglia rosa a fare la sua giocata. Se non fosse che la faccia di Nibali più che rosa è bordeaux: i lineamenti sono raggrinziti come le mani dei bambini dopo un pomeriggio in mare, e la lunga ascesa verso Perticara diventa un estenuante gioco di sguardi da innamorati indecisi: «Tiro io? No, dai, tira prima tu».

Nibali vorrebbe dire: «Vòl», cioè passo, non ne ho più. Mentre Tim Wellens, il meglio piazzato della fuga, si scambia cenni d’intesa col compagno De Gendt. Sussurra: «Böss!», cioè “busso”, voglio la migliore, e intende la maglia rosa, specie quando scopre che il vantaggio alla Madonna di Pugliano ha superato i 10’. Ai due rispondono sognatori ed outsider (Bilbao, Betancur, Kangert) con un deciso: «Strèss!», ne abbiamo ancora. Intanto alle loro spalle il gruppo accelera man mano che il cielo grigio si apre e lascia spazio al sole calante. È solo verso San Giovanni in Galilea che gli apostoli della fuga rompono l’armonia. Attacca Gino Mäder, ventitreenne pistard svizzero, innamorato delle fughe. Contrattacca James Mitri, a cui si accodano Simon Pellaud e Jaakko Hänninen. Un attimo di incertezza e il mare è già all’orizzonte. Mitri si arrende e restano in due: il finlandese di Francia e lo svizzero di Colombia. Una volata senza storia premia Pellaud, esploratore che ha scelto il ciclismo per scoprire il Mondo. Senza squadra nel 2016, parte oltreoceano, Stati Uniti prima, poi Colombia. Sulle montagne di Medellin si costruisce una casetta in legno che diventa il suo campo base da cui partire per gareggiare negli angoli più bizzarri dei cinque continenti, fino a qui, alla vittoria più importante della carriera.

Quasi dieci minuti più tardi, mentre il sole dipinge di rosso l’incalzante s-ciaff s-ciaff delle onde, il gruppo taglia il traguardo con facce stranite: è una mano persa, ma le briscole sono ancora tutte al loro posto. Eppure, dal mazzo scompigliato dei colli romagnoli è uscito un Giro nuovo che, come le imprese di Marco Pantani, figlio di queste strade e di queste salite, brulica di vita. Una vita che è trasformazione, che è poter dire ogni giorno soddisfatti che «una volta non era così».

 


Ascolta Gloria Giacopini feat. Simona Canducci che leggono il racconto della dodicesima tappa

 


Classifiche

Ordine d’arrivo tappa 12

1Simon Pellaud  
2Jaakko Hänninena 02"
3James Mitria 23"
4Maximilian Schachmanna 31"
5Valerio Contist
6Tim Wellensa 50"
7Gino Mäderst
8Thomas De Gendtst
9Filippo Zaccantist
10Pello Bilbaoa 01'38" col resto dei superstiti
gruppo maglia rosaa 09'22"

Classifica Generale tappa 12

1Tim Wellens  
2Krists Neilandsa 01'42"
3Pello Bilbaoa 01'56"
4Carlos Betancura 02'54"
5Simon Pellauda 03'30"
6Maximilian Schachmanna 04'16"
7Gino Mädera 04'34
8Vincenzo Nibalia 07'41"
9Tom Dumoulina 07'43"
10Giulio Cicconea 07'58"
Davide Formoloa 08'05"
Jakob Fuglsanga 08'17"
Miguel Ángel Lópeza 08'26"
Wilco Keldermana 08'34"
Richard Carapaza 08'35"
Simon Yatesa 08'46"
Romain Bardeta 08'53"
Chris Froomea 08'55"
Damiano Carusoa 08'59"
Remco Evenepoela 09'12"
Tejay Van Garderena 09'28"
Il’nur Zakarina 09'35"

Maglie tappa 12

Maglia Rosa:Tim Wellens
Maglia Ciclamino:Elia Viviani
Maglia Azzurra:Krists Neilands
Maglia Bianca:Gino Mäder

 

 

12 Responses
  1. Bella al cronaca. Da siciliano posso dire che è raccontata quasi alla perfezione. Nota per la redazione è Casteltermini e non Castel Termini.
    Oggi mi è piaciuta anche la versione audio complimenti!

  2. Fabrizio Canesi

    Splendida idea questo Senzagiro: mi sto gustando giorno per giorno le cronache.
    Bravissimi, e grazie per la compagnia che ci tenete!

  3. Manuel

    Speravo in una vittoria di Ciccone, ma non mi aspettavo già alla quinta tappa (una signora tappa). Grazie!
    Questo SenzaGiro mi emoziona quasi quanto un Giro vero, non è una cosa da poco. Complimenti a tutti. Ideatori del sito, inviati e illustratori. Bravi bravi bravi!

  4. Mike Bike

    La gente a bordo strada, protagonista della tappa…quanto mi manca…Supremo l’hai evidenziata bene con due pennellate precise

  5. Manuel

    Grande Cimolai!!! Una vittoria “virtuale” per un grande atleta che meriterebbe di sicuro una vittoria “reale” al Giro.
    Grazie per la bella cronaca. L’Italia è un luogo meraviglioso e sicuramente la Puglia è una delle regioni che meglio rappresentano il nostro Belpaese.

    1. Manuel

      Chissà quanto si è arrabbiato inizialmente Nibali vedendo il proprio scudiero scappare via in una fuga poco sensata, ma Giulio Ciccone è uno spirito libero e per di più oggi era a casa sua. Credo che lo Squalo abbia alla fine capito quanto questa tappa fosse importante per l’abruzzese e me lo immagino a consolarlo sul pullman della Trek dopo la fine della gara.

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