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Barbotto

Barbotto

di Albano Marcarini

Quante bestemmie ci vogliono per scalare il Barbotto? Quante le imprecazioni alle Madonne e ai Santi tutti? Neppure Strava ve lo sa dire. Ho visto cose… Ho visto Amministratori Delegati scendere dalla bici e piangere a bordo strada. Ho visto Veterani (o Veterinari) della strada rimpiangere il Mortirolo. Ho visto gente lasciare sull’asfalto righe di sudore come un radiatore bucato. Ho visto un mio amico e poi non l’ho più visto. Sì perché questa salita da barboni, miseranda e stracciona, non se l’aspetta nessuno. Almeno quelli che, giudiziosamente, guardano ancora le cartine del Touring (e non Google maps) prima di uscire in bici. 

Lì, in quell’angolo della Romagna, non c’è pianura, ma non ci sono neppure montagne. Dovrebbe starci quello che le buone guide dicono «un paesaggio dolce e ondulato», ridente aggiungerei. Niente asperità, ma un andare di conserva con qualche pestatina sui pedali. Invece no. Arrivati a Mercato Saraceno, tranquillo paesotto che non farebbe pensare, come si dedurrebbe, a sanguinosi assalti barbareschi a fil di spada, ecco invece che la lama s’infila nelle cosce, del tutto inattesa. Le prime curve iniziano già dure, sopra il 10%, poi, superato il camposanto di Mercato (forse è un segno!), tornano su livelli più commestibili (6-7%). 

La strada è larga (5-6 m), ma poco ombreggiata come molte di quelle degli Appennini. Si sovrappassa la superstrada E45 che sbrana le pendenze come tutte le strade moderne. Poi si susseguono diritture fra i campi. Sono le classiche strade che sembrano spuntare il cielo avendo di fronte non un netto versante, bensì un rilievo convesso del quale non si riesce a scorgere la fine. Una maledizione tutta appenninica. Quando sei di fronte allo Stelvio, lo vedi bene lì di fronte, sarà dura ma almeno sai dove devi arrivare! 

Nessun abitato, solo qualche casale, come la Colonnata in una campagna che sembra affogata in un liquefatto pomeriggio di gara. Sotto la pendice di Monte Spelano, a 3.5 km dall’inizio, un inquietante cartello annuncia un tratto al 14% che si affronta con cinque tornanti. È il momento più difficile, dove, poco prima del cartello del km 4, si tocca una punta del 18% per circa 200 metri. Il resto non va mai sotto il 10% fino al culmine, posto a 515 metri d’altezza, spartiacque fra la valle del Savio e dell’Uso. Al sommo s’incontra la SP 11: a destra manda a Perticara (7.2 km); a sinistra a Sogliano al Rubicone (12.8 km). L’accogliente ristorante Barbotto, con tavoli all’aperto, serve a riprendersi dallo sforzo. 

Come è universalmente noto la salita del Barbotto è compresa nella veterana Gran Fondo Nove Colli. «Un mix di bellezza paesaggistica, sudore e fatica», come incoraggia l’headline del sito web dedicato, che raduna ogni anno migliaia di partecipanti. Il tracciato, molto severo, prevede appunto una successione di brevi ma dure o durissime ascese. Il Barbotto è la quarta di queste, successiva alla Ciola (alt. 565) e precedente a Monte Tiffi (alt. 394). Rapporti suggeriti: 34/24 o 34/26. Una nota che può far piacere a chi conquisterà il Barbotto: apparso al Giro nel 1973, vi transitò per primo Eddy Merckx.

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