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Quella volta che cercarono di avvelenare Saronni…

A cura di: Alessio Stefano Berti

DUALISMI

I dualismi, nel mondo del ciclismo, hanno sempre affascinato e diviso il popolo dei tifosi. Li hanno fatti discutere, innamorare, schierare gli uni contro gli altri, arrivando a coinvolgere anche coloro che del ciclismo non hanno mai fatto una ragione di vita. Giovanni Gerbi e Carlo Galetti, nel primo decennio del ‘900, misero in piedi una sfida memorabile attraverso la Pianura Padana solo per dimostrare a tutti chi dei due fosse il più forte (e anche per le mille lire dell’epoca in palio…). Poi a dividere l’Italia arrivarono Coppi e Bartali, scomodando addirittura la politica e la religione. A seguire venne la volta di Anquetil e Poulidor, quindi quella di Gimondi e Merckx.

Il ciclismo, insomma, si nutre e si nutrirà dei dualismi, perché le scaramucce e le rivalità tra corridori hanno da sempre rappresentato il condimento delle corse, hanno aggiunto il gusto del piccante, dando alle competizioni una narrazione romanzesca rispetto a quella che altrimenti in diversi casi rischierebbe di diventare soltanto “fredda cronaca”. Tra i tanti dualismi del passato ce n’è uno inatteso, molto particolare, che fece da contorno a una delle vicende più oscure nella storia del ciclismo italiano e che riguardò la crono da Gorizia a Udine nel Giro dell’83.

Il Giro dei Veleni

Il Giro del 1983, invece, si preannunciava alquanto anonimo, insipido e senza rivalità. Eravamo nel pieno del periodo Saronni – Moser, anche se il trentino, che dalla Corsa Rosa si ritirò, in quella stagione non vinse quasi nulla. Bernard Hinault, tra gli altri, decise di non parteciparvi proprio. Quello che però si annunciava come un Giro scialbo, si dimostrò invece uno dei più divertenti e appassionanti della storia. Le battaglie sulla strada e le diatribe dopocorsa riempirono le pagine dei giornali come non si vedeva da tempo.

Brescia, 12 maggio. La prima frazione doveva essere un semplice cronoprologo ma alla diretta televisiva il buon Adriano De Zan sentenzia: sciopero dei metalmeccanici, tappa annullata. Il giorno successivo la Bianchi Piaggio vince la cronometro a squadre e Tommy Prim veste la maglia rosa. La prima parte della corsa è a favore delle ruote veloci e porta ad avvicendarsi in vetta alla classifica dapprima Bontempi e poi Paolo Rosola. Ma i “veleni” cominciano ben presto.

Saronni vince la quarta tappa con una volata contestatissima in quel di Todi, rispondendo con una mossa illecita a una scorrettezza di Argentin, che vincerà poi a Salerno. Beppe, che quel giro lo sta correndo in maglia iridata dopo aver fatto suo anche l’ultimo Lombardia e la Milano Sanremo, alla fine di quella settimana indossa la maglia rosa e nessuno riuscirà più a sfilargliela, anche se ci proveranno con tutti i mezzi. Al Giro sembra non avere rivali ma il pericolo si nasconde proprio lì dove non te lo aspetti.

La tredicesima tappa è una crono individuale, e la vince ancora Saronni. Roberto Visentini della Inoxpran, in lotta per la leadership, lo accusa di essere partito prima che scattasse il cronometro. Non pago, accusa anche gli organizzatori e i cronometristi di essere in combutta con colui che vincerà poi il Giro. Dal nulla, ecco nascere la rivalità che l’Italia non si aspettava, il dualismo che aumenta il livello di attenzione sul sessantaseiesimo Giro D’Italia.

Il complotto contro Beppe

Saronni, con l’avvicinarsi delle ultime tappe, è decisamente stanco. Ha vinto tanto, è esausto e in salita si difende con fatica dagli attacchi di Visentini. Tuttavia, i giochi sembrano ormai fatti. Manca solo l’ultima tappa: una cronometro di quaranta chilometri da Gorizia a Udine che, pur essendo sulla carta favorevole a Visentini, è quasi una passerella. Alla vigilia di quella crono, però, accadde l’impensabile.

Un industriale bergamasco, sponsor della Inoxpran e tifoso di Visentini, si presenta all’albergo della Del Tongo, la squadra di Saronni, e tenta di corrompere due camerieri affinché svuotino un’intera boccetta di lassativo nelle bevande che avrebbero servito a Saronni. La somma pattuita è di due milioni di lire. Il complotto, però, va subito in crisi. I due inservienti avvertono un poliziotto loro amico che, travestitosi da cameriere, s’inserisce nella trattativa chiedendo un altro milione. Quando l’industriale si presenta per versare un anticipo, trova ad aspettarlo non solo le forze dell’ordine, pronte ad arrestarlo, ma anche una buona schiera di fotografi. Lo scandalo è mondiale.

Quella medicina non solo avrebbe sicuramente impedito a Saronni di partecipare alla crono dell’indomani ma avrebbe anche rischiato di mandarlo all’ospedale. In molti, poi, diranno che quell’imprenditore – che si prese tutte le colpe – fosse soltanto l’esecutore di un complotto molto più vasto nel quale non operò da solo. Addirittura si parlò di una manovra orchestrata da tempo contro il Giro d’Italia, indipendentemente da cui avesse indossato la maglia rosa quel giorno. Non lo sapremo mai.

La crono di Gorizia si svolse poi regolarmente ma il direttore sportivo di Inoxpran, per la vergogna, coprì con il nastro adesivo i loghi che rappresentavano la ditta del tentato avvelenatore. Roberto Visentini, come prevedibile, riuscì a vincere grazie alle sue doti di cronoman ma fu Saronni, che limitò i danni, a vincere quello che divenne letteralmente il Giro dei Veleni. Roba da film!


Questo articolo è realizzato dalla redazione di Biciclette d’Epoca, la rivista dedicata al mondo del ciclismo vintage.

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