itenes

Claudio Gregori

Ho incontrato il Giro a Trento l’8 giugno 1956. Ero in calzoncini corti e senza ombrello. Pioveva. Goccioloni gelati. Ero fradicio e battevo i denti. E il Giro passò nella tempesta. Una sequenza di fantasmi sporchi di fango. Uno spettacolo bellissimo e crudele. Il traguardo era 13 chilometri più su, sul Bondone. Vinse Gaul nella tormenta e ribaltò il Giro. Ed io, in un colpo solo, ho scoperto la bicicletta, il valore e l’epos.

 

Claudio Gregori ha sprecato sei anni con una bella possessiva: la matematica. L’ha lasciata per giocare a calcio. Poiché nello stadio soffriva di claustrofobia, si è buttato sulla strada infinita. Faceva pezzi di colore. Così, da imbianchino, ha dipinto 28 Giri d’Italia, 3 Tour e 13 Olimpiadi en plein air. Poi, sporco di colore, ha fatto il bagno nell’acquaragia.

Grafomane irrecuperabile, ha scritto molti libri. Gli ultimi sono da neurodeliri. Lui stesso vi mette in guardia. Merckx il figlio del tuono (66and2dn, 2016) e Il Corno di Orlando (su Ottavio Bottecchia, 66and2dn, 2018) non fanno dormire. Il romanzo di Baslòt (su Giovanni Rossignoli, Bolis Edizioni, 2019) e, l’ultimissimo, Coppi contro Bartali (Diarkos, 2020), ustionano come rospi velenosi. Attenzione! Non toccateli.